A cura di Artemide De Blanc
Nelle canzoni le nonne fanno le tagliatelle e si chiamano Pina. Quella di Omar Pedrini si chiamava Nina, era una chitarrista (iconoclasta) e all’età di 5 anni gli regalò lo strumento con cui avrebbe sublimato la sua ribellione per tutta la vita: una chitarra.
“Lo strumento con cui esorcizzo ogni problema. Il mio mitra è un contrabbasso che ti spara sulla faccia aria e parole”.
La rabbia, l’ambiente operaio, la povertà. Il quartiere di Brescia dove diventare un capo ultrà era visto traguardo da maschio alfa. Ma il suo Dna srotolava proteine musicali per vocazione familiare: bisnonno insegnante di clarinetto e direttore della banda del paese, nonna chitarrista, sorella della nonna suonatrice di mandolino. L’istinto primario di esibirsi in concerto che pulsava dagli 8 anni.
Chitarra o motorino: bisogna sempre scegliere…
“La mia era una famiglia operaia, mia madre andò a lavorare a 10 anni. Poi mio padre si riscattò da questa povertà e a 16 anni mi mise davanti alla scelta cruciale: chitarra o motorino? Scelsi la prima, ovviamente. Ero scapestrato, restavo a provare fino a tardi, sicuramente questo aut aut mi ha evitato ulteriori problemi con la moto. La nostra band sperimentava, ai tempi la pretesa di fare rock cantando in italiano era ridicola secondo il pensiero comune. I Decibel e i Timoria hanno aperto la strada, tanto che oggi il rock, qui, si fa preferibilmente in italiano”.
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