La recensione del film-capolavoro diretto da Christopher Nolan
A cura di Anna Smith
Sapevamo che il mondo non sarebbe mai più stato lo stesso. Qualcuno scoppiò a ridere, un paio si misero a piangere, ma la maggior parte di noi rimase in silenzio. Fu allora che mi tornò in mente quella frase del Bhagavad Gita, il testo sacro indù, nella quale Vishnu cerca di ricordare al Principe i suoi doveri. Per convincerlo, il dio assume la sua forma con quattro braccia ed esclama “Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi”. Bene o male, credo che allora lo pensassimo tutti.
Oppenheimer, l’ultima magistrale creazione di Christopher Nolan è un film che grida. Grida, grida, grida. Non aspettatevi di sedervi in sala e di guardare un film di guerra. No. Oppenheimer è di fatto un film racconta la vita del fisico statunitense Robert Oppenheimer e dell’invenzione della prima bomba atomica. Ovviamente. E lo fa con tre ore di intensissimi dialoghi. Ma Oppenheimer non è solo una pagina di storia ben raccontata. È un film che sottolinea fino a che punto l’uomo può essere arrogante, che affronta con profondità e maestria la complessa figura di J. Robert Oppenheimer, uno dei più grandi scienziati del XX secolo, attraverso la capacità inimitabile del regista di scoprire pensieri e sensazioni che, di solito, si desidera tenere chiusi a chiave. Il film cattura in modo magistrale l’ineluttabilità delle scelte e delle conseguenze che plasmarono la vita e la carriera di questo uomo straordinario. Straordinario, non per forza con connotazione positiva.
La narrazione si apre con una citazione dal Bhagavad-Gita, un testo sacro induista, che preannuncia la responsabilità che graverà su Oppenheimer.
Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi.
Interpretato con intensità da Cillian Murphy, Oppenheimer è ritratto come un individuo di straordinaria intelligenza e ambizione, la cui ricerca scientifica è guidata da un senso di dovere verso il progresso e, allo stesso tempo, da un’inquietudine verso le conseguenze delle sue scoperte. Murphy recita per gran parte del tempo sullo schermo solo con le espressioni facciali e con i suoi tormentati e penetranti occhi azzurri, che pungono lo spettatore, lo lasciano inerme, di fronte alla complessità emotiva del personaggio. Il lungometraggio non ha un attimo di tregua, perché è lo stesso Oppenheimer a non averla. Corre, va avanti, è inarrestabile, non può fermarsi. E lo vediamo assottigliarsi sempre di più. Grazie anche alla colonna sonora di Göransson, riusciamo a cavalcare i diversificati stati emotivi dello scienziato senza cadere dalla sella. Un singolo violino può essere delicato, romantico. Può vibrare molto dolcemente. Ma se si aumenta la velocità, se si preme più forte sullo strumento, il suono diventa immediatamente maniacale, nevrotico, disturbante.
Durante la visione, è possibile sentire tutto ciò che il Dottor Oppenheimer prova e pensa. I suoi attacchi di panico, la sua ansia, la sua eccitazione, le sue idee invadergli la mente. E diciamo sentire non a caso, poiché il suono e – come vedrete – il silenzio, sono aspetti fondamentali che fanno parte della narrazione stessa. Si tratta di un’esperienza cinematografica, di essere parte del film. Improvvisamente, sei nel suo sguardo. Sei nel movimento delle sue dita tremanti che, con il gessetto tra indice e pollice, lavorano freneticamente alla lavagna. Sei un fascio di luce che gli attraversa la mente. E, all’improvviso, sei un ronzio di sottofondo, un rumore che graffia, che soffoca. Le grida felici per la riuscita dell’impresa, si trasformano ben presto in pianti disperati e senti il mondo che si frantuma, che non può più tornare indietro. Lo spettatore prova, in prima battuta, una sensazione di sollievo per la riuscita dell’esperimento, perché Nolan riesce a farti sentire tutta l’ansia che deriva da anni e anni di lavoro, sostituita immediatamente dopo da una forte sensazione di disagio, che si addormenta sullo stomaco per tutto il resto del film. Ed è giusto così. Come ci si può sentire felici?
La struttura narrativa non lineare, un marchio distintivo di Nolan, contribuisce a dipanare la storia in modo avvincente, consentendo al pubblico di immergersi nella psicologia del protagonista e nei momenti chiave della sua carriera.
Le scene in bianco e nero, infatti, racconta la storia in maniera oggettiva, mentre le scene a colori, sono soggettive.
La scelta di non utilizzare eccessivamente la CGI aggiunge un senso di autenticità alle scene, in particolare al potente test nucleare rappresentato nella sua crudezza. Ne abbiamo parlato in modo approfondito qui.
Il film esplora anche il delicato equilibrio tra progresso scientifico e responsabilità morale. Oppenheimer, insieme ad altri eminenti scienziati dell’epoca, è chiamato a creare la bomba atomica durante la Seconda Guerra Mondiale. La tensione tra il suo impegno verso l’innovazione e la consapevolezza degli effetti devastanti dell’arma culmina in momenti toccanti e controversi, come la scena in cui Oppenheimer ammette il suo ruolo nella catastrofe nucleare di Hiroshima e Nagasaki.
Il cast di attori di grande calibro, tra cui Matt Damon, Gary Oldman e Robert Downey Jr., contribuisce a dare vita a personaggi secondari (ma, di fatto, estremante importanti) che circondano Oppenheimer, riflettendo il contesto storico e politico dell’epoca. Tuttavia, l’opera potrebbe essere stata arricchita da uno sviluppo più approfondito di alcuni personaggi chiave, come le donne che hanno influenzato la vita di Oppenheimer: Jean, amante dello scienziato, interpretata dalla magnifica Florence Rose Pugh e Kitty, moglie di Oppenheimer, interpretata da una costantemente sopra le righe Emily Blunt, che non ha deluso nemmeno questa volta. Come potrebbe?
In particolare, Robert Downey Jr. interpreta il ruolo di Lewis Strauss, uomo d’affari americano diventato uomo politico di primo piano a metà degli anni ‘50. Per gran parte del lungometraggio, ci arriva tutta la sua eleganza, classe e portamento, una maschera ben aderente al suo volto, lasciando apparire la sua frustrazione o la rabbia solo attraverso alcuni ghigni sapientemente sottolineati. Una prova attoriale che, di certo, non può che essere apprezzata.
La sua trasformazione in uomo politico e manipolatore, ci fa riflettere sul potere che esercita su di noi il potere stesso e di come ci si possa rendere spietati pur di difenderlo.
Un film enorme, denso. Un film che grida.