A cura di Matteo Muzio
Nato a Milano venticinque anni fa per l’intuizione di tre fondatori, oggi lo studio Gioforma lavora in tutto il mondo per creare scenografie, strutture e palchi da concerto per esaltare al massimo l’arte performativa, sia essa musica classica o rock, ma anche per eventi di vario tipo, come l’Albero della Vita di Expo 2015 a Milano.
Uno studio fondato da tre architetti nel 1998 che però non ha preso il nome dei tre soci iniziali Florian Boje, Cristiana Picco e Claudio Santucci, scegliendo Giò Forma come nome dello studio che oggi conta venti membri ed entro la fine del 2023 potrà contare su uno staff ancora più grande. Gioforma non è una firma come altre, che spesso lavora per committenti privati che difficilmente rendono fruibile la loro opera al pubblico. Gioforma si muove in uno spazio pubblico che comprende architettura e allestimenti, palchi musicali per importanti artisti internazionali, da Vasco a Cesare Cremonini, e scenografie per le maggiori opere liriche, come il Trovatore di Giuseppe Verdi alla Sydney Opera House, in Australia. Un lavoro che punta ad esaltare ai massimi livelli l’esperienza artistica per l’ascoltatore e che si pone in continuità con una grande tradizione italiana che risale alle scenografie teatrali del Rinascimento. Abbiamo raggiunto Florian Boje, uno dei soci fondatori, per approfondire quali siano le idee che stanno dietro alla crescita di uno studio come Gioforma.
I vostri lavori sono sempre fruibili dal grande pubblico, che può apprezzare il design in modo totalmente libero. Qual è il vostro concept base dietro ogni opera?
In Gioforma abbiamo una nostra visione, un nostro algoritmo che applichiamo a tutti i progetti. “Tutto è Palco” è il nostro campo di ricerca, pensiamo che ogni spazio pubblico, un edificio o un piatto, insomma ogni oggetto, abbia il potenziale di diventare un palco, uno spettacolo, un’esperienza emozionale. La magia trasformativa del palco ha il potenziale di cambiare i nostri punti di vista sulla realtà; in questo modo riempiamo il divario tra lo spettatore e ciò che sta osservando, attraverso l’experience engineering e una narrazione profondamente significativa. Ecco, questo è “Tutto è Palco”, il nostro manifesto valido dalla cosa più piccola fino a un masterplan o un destination design.
Un pezzo delle vostre opere sono scenografie di grandi concerti. Quanto pensate che possano aiutare nel godere l’esperienza musicale?
Un concerto non è solo un ascolto musicale dal vivo. È un’esperienza, un’emozione che parte dall’acquisto del biglietto che ci fa sentire fortunati ad avercela fatta, che aumenta nell’attesa che può durare anche un anno o più, nel viaggio verso la location dell’evento, nell’acquisto di una maglietta o di un gadget ricordo, fino ad arrivare al momento in cui sei immerso all’interno di uno spettacolo che stimola tutti i sensi, uditivo, visivo, tattile e a volte addirittura olfattivo. Il nostro compito è di creare tutto ciò, non solo quindi limitandoci al design della scenografia ma al design di tutto lo spettacolo, tutta l’esperienza. Ecco, infatti, che si parla di show design dove tutto diventa materiale: ferro, luce, performer, video, effetti, laser, fuochi, inquadrature delle telecamere, movenze dell’artista, locandina del tour, teaser. Tutto è materiale di design dello spettacolo per far sì che l’anima del performer possa espandersi e arrivare allo spettatore senza più limiti spaziali apparentemente dati dal luogo né limiti temporali: perché un concerto ti rimane dentro per sempre.
Alcuni progetti come la Maraya Concert Hall di AlUla sono integrati nella natura più estrema. Quanto pensate che l’opera umana si possa integrare nel paesaggio naturale?
Questa domanda getta un ponte verso la Maraya Concert Hall (con Black Engineering), un edificio totalmente ricoperto di specchi, situato nel nord-ovest dell’Arabia Saudita, sulla cosiddetta Via dell’Incenso, vicino alla città di AlUla. Un’oasi nel mezzo del deserto con tombe di civiltà vecchie di 7000 anni, spettacolari formazioni rocciose e gole. Abbiamo partecipato alla competizione solo perché conoscevamo il luogo mozzafiato. Abbiamo partecipato con il motto: ‘qui non dovrebbe essere costruito nulla’. Di conseguenza, solo gli specchi erano appropriati, per dare un massimo rispetto per l’essenza del luogo ed esaltare lo spettacolo dell’epos geologico. L’ambiente riflessivo crea un equilibrio travolgente, ma anche un legame profondo tra l’eredità umana e la natura.
A differenza di altri studi, voi non avete scelto di basarvi sul nome di uno dei soci, ma di scegliere un nome collettivo. Come mai?
Varie ragioni, in primis c’entra il lavoro di squadra. Il nostro studio è in costante crescita ma estremamente stabile, alla fine dell’anno saremo composti da un totale di quaranta persone, un team di designer, artisti e architetti molto coinvolti, abbiamo 7 nazionalità diverse e lavoriamo letteralmente in tutto il mondo. In un contesto contemporaneo e globale, per noi il lavoro di squadra è l’unica risposta possibile: pensiamo che la collaborazione, la ricerca e il coinvolgimento di tutti nelle decisioni ci dia una marcia in più oltre alla possibilità di ragionare a lungo termine. Essendo attivi in tanti campi, dall’Architettura in avanti, abbiamo poi notato che i nostri giovani Architetti e Designer sono attratti dalla possibilità di cambiare scala o progetto e collaborare con team molto competenti.
Vi sentite gli eredi della grande tradizione degli scenografi dell’opera italiana? Grazie al vostro lavoro, una tradizione pluricentenaria continua.
Sì, assolutamente. Il nostro lavoro si arrampica sulle spalle dei Giganti. L’Italia è la patria del concetto “Tutto è Palco”. Se pensiamo alla famiglia dei Galli da Bibiena, o a Vincenzo Scamozzi, Luigi Vanvitelli, il Peruzzi o lo stesso Bernini, tutti erano coinvolti nella progettazione del “Gesamtkunstwerk” molto prima che Wagner inventasse il concetto. Certamente il contesto è diverso, ma l’algoritmo è sempre valido. Pensiamo che il nostro mestiere sia come un iceberg (parafrasando Renzo Piano): ciò che si vede è un edificio o uno spettacolo emozionante, ma sotto c’è cultura, arte, design, architettura, ingegneria, moda, marketing, mostre, musei, organizzazione e tanto studio.